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sabato 19 marzo 2016

Memorie dal 6 maggio - 1 - I primi soccorsi a Vasìnas

Avvicinandosi la ricorrenza del quarantennale del terremoto, il pensiero di più di qualcuno va alla memoria della propria esperienza seguita alla drammatica notte del 6 maggio 1976.
Come fatto negli scorsi anni, il Blog rilancerà le testimonianze apparse sulla stampa e pubblicherà i racconti dei "valdelaghini" che vorranno condividere il ricordo di quei momenti ed il senso di quell'esperienza. Potete mandare i vostri testi con un messaggio di posta elettronica (alessoedintorni@gmail.com) o usufruendo del quadro "contatti" su questa pagina.
Iniziamo riproponendo quanto pubblicato oggi dal MV: la testimonianza del viaggio di Vittorio Bosco, il 7 maggio, verso Avasinis
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«Passai sul ponte pericolante con l’auto piena di viveri»

L'anniversario del terremoto e le testimonianze. Vittorio Bosco racconta: fui il primo ad arrivare ad Avasinis, il prete mi disse: «Ti ha mandato il Signore»
UDINE. Vittorio Bosco, la sera del 6 maggio 1976, abitava a Manzano e il boato del terremoto non l’ha neppure sentito. Quello che ha sentito il giorno dopo è stato il grido di aiuto proveniente da Gemona, Venzone, Artegna, Osoppo, Buja e da tutti i comuni distrutti. Non esitò un attimo ad accettare di far parte dei gruppi che portavano generi di prima necessità alla gente rimasta senza casa che, in diversi comuni, piangeva i suoi morti.
«Avevo 22 anni e la testa di un ragazzo, capii che dovevo fare qualcosa. Caricai il la mia Fiat 126 dotata di radio ricetrasmittente Cb e partii. Andai alla caserma Spaccamela, in via Cividale, i magazzini e il cortile erano già pieni di viveri. Mi fu consigliato di andare a Gemona» scrive Bosco descrivendo le strade intasate dai mezzi diretti nelle zone colpite.
«Contattai la stazione radio del monte Bernadia - prosegue - mi invitarono a dirigermi nella zona bassa di Gemona e verso Trasaghis. Imboccai via Taboga e via Cavazzo, ma su questa strada c’era una lunga colonna di mezzi militari fermi. Non poteva attraversare il ponte lesionato. Un militare mi rassicurò: “Con la sua auto non ha difficoltà a passare”. Proseguii non sapevo dove andare né dove portassero quelle strade. Era buio, cominciavo ad avere paura».
Bosco trovò grossi massi lungo la strada, si erano staccati dalla parete rocciosa.
«A un certo punto scorsi alcune case e vidi un prete che di dirigeva verso la mia auto. Mi disse che ero il primo soccorritore arrivato in quel paese del quale non conoscevo il nome, era Avasinis. In macchina avevo latte, altri generi alimentari e pannolini per bambini. “Ti ha mandato il Signore” mi disse il parroco».
Scaricate le scatole, Bosco tornò indietro e sul ponte c’era ancora la colonna dei mezzi militari ferma. «Volevo arrivare prima possibile a casa dove mi aspettavano mia moglie, mia mamma e mio figlio di soli 51 giorni. Quando vidi le loro facce - aggiunge - capii che avevo appena vissuto un’esperienza indimenticabile».
In tutti questi anni, Bosco pensò più volte di tornare ad Avasinis a cercare il parroco che il 7 maggio 1976 lo accolse a braccia aperte tra tanta distruzione. «Non ho mai avuto il coraggio di farlo - ammette - ho preferito rimanere nell’anonimato».
Quarant’anni dopo, Bosco ha sentito il desiderio di raccontare la sua storia quasi fosse arrivato il momento di trasmettere ai suoi figli le emozioni e la paura di quella sera, quando la terra continuava a tremare e tutto intorno c’era solo sofferenza e disperazione.
(Messaggero Veneto, 19 marzo 2016)

Militari nella tendopoli di Avasinis con "Nan da Pina"

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