"Alesso e dintorni", dal puint di Braulins al puint di Avons

"Alesso e dintorni", dal puint di Braulins al puint di Avons

sabato 30 settembre 2017

Obiettivo su Bordano & Interneppo - 1 - Lassù da Roste

Prima del Ponte di Braulins... Lassù da Roste

In questi giorni, precisamente il 23 e il 24 settembre, c’è stata la festa dedicata al celeberrimo Ponte di Braulins, che da 102 anni consente di stabilire un rapido collegamento tra di ca e di là da l’aghe, tra il Gemonese e il territorio della Val del Lago. Devono averne tratto enorme giovamento quei nostri antenati, che ebbero la sfortuna di subire le privazioni della guerra ma la fortuna di veder completata quest’opera che avrebbe rivoluzionato gli spostamenti, portando all’estinzione un mestiere rischioso ma di antica origine, quello dei barcaioli. Quei paesi sul Tagliamento fino ad allora non avevano molta scelta per garantire il passaggio ai propri abitanti: attraversare il “re dei fiumi alpini” a piedi quando era in secca o comunque in magra, o su imbarcazioni quando era ad una portata ancora affrontabile.
 
La posa dell'ultima pietra del "puint di Braulins"


Queste barche servivano una vera e propria tratta da Braulins (paese di grande tradizione in tale settore) verso Gemona, la così detta “strada della Barca”, e da Bordano all’Osteria del Lisk, posta a due chilometri da Venzone, e da cui si poteva proseguire a piedi verso questo paese o verso Gemona, che rimaneva la meta principale. Ma, se Braulins ebbe alla fine il tanto agognato ponte e Pioverno, per esempio, vide attivo prima il ponte di legno, tra il 1784 e quando fu incendiato dagli austriaci in ritirata (1809), e poi la passerella tra il 1926 e il 1966, quando andò distrutta per la piena fenomenale del Tagliamento, il panorama di Bordano non fu mai arricchito da un qualche tipo di costruzione permanente che collegasse le due sponde, non perlomeno nel corso della storia a noi nota. Oltretutto il paese, a differenza degli altri due, non è esattamente attaccato al corso d’acqua, tanto più se si parla del vecchio villaggio, che prima del terremoto del ’76 vedeva nelle Popules la località più prossima al Tagliamento, mentre a inizio ‘800 era addirittura di molto più arretrato, con Plaçe come ultimo borgo prima del fiume. Il tratto di Tagliamento che corre tra i due citati paesi prossimi al nostro, inoltre, ha la sua maggiore larghezza proprio di fronte a Bordano, in pratica tra la zona del campo sportivo e il punto in cui il Rio Pozzolons si introduce nel Tagliamento, in località Rivoli Bianchi. Dunque, anche avendo voluto erigere un ponte vero e proprio o una passerella, essi non avrebbero potuto partire dal punto più vicino al paese.

Avendo appurato che esisteva quindi solo un attracco per barche, dove avremmo incontrato il nostro Caronte pronto per traghettarci di ca da l’aghe? Beh, bisogna puntare a nord-est, percorrere quindi la strada verso Pioverno finché non si giunge in vista della minuscola galleria, punto in cui il fiume dista ormai pochi metri e in cui terminano i fondi della così detta Piana di Bordano; qui il San Simeone comincia letteralmente a toccare il Tagliamento. Poco prima della galleria una breve stradina campestre, segnata nel Nuovo Catasto Italiano come comunale (una delle 20 strade comunali di Bordano registrate nei vari catasti), detta Strade di Grisigníti, conduce in brevissimo tempo e praticamente in linea retta dalla strada principale, Via Bordano, alla sponda del fiume, precisamente presso la rosta; da qui il nome della località: Lassù da Roste

Qui, Oscar Rossi, si inoltra in un prato di Lassù da Roste che termina a sinistra in un groviglio di arbusti. Proprio sotto quelle piante il tracciato della vecchia e ormai inutilizzata Strade di Grisigníti. Se provate a inoltrarvi per qualche metro in questa macchia, noterete prima un piccolo muretto che affiora e, oltre, il piano ribassato della ex strada comunale. Sullo sfondo l'immancabile Monte Chiampon. (foto di Enrico Rossi)

La strada oggi è inerbita, invasa da sterpi e alberi, ma all’epoca doveva essere frequentata se pensiamo che proprio in Lassù da Roste esisteva l’unico “porto di Bordano”, anche se era mobile a seconda dell’andamento fluviale. Le barche erano a fondo piatto, per una maggiore stabilità in un corso d’acqua a regime torrentizio, e comunque vi era l’impossibilità di dotarsi di un grosso pescaggio. Il barcaiolo dirigeva l’imbarcazione non da seduto per mezzo di remi ma stando in piedi e servendosi di una lunga asta. Il servizio era comunque a pagamento, dato che quello del barcaiolo era un vero e proprio mestiere; ci sono persino giunte le tariffe per persona che nel 1912, stesso anno in cui partirono i lavori del ponte, erano richieste a seconda delle varie condizioni del fiume. In caso di acqua limpida 10 centesimi, con acqua torbida 15, 20 con una piena di media entità e 25, quindi due volte e mezzo il prezzo minimo, con piena notevole. Le traversate erano regolarmente eseguite dalle sei del mattino sino al tramonto, anche se se la flessibilità era garantita facendo avvisare i barcaioli la sera prima nel caso qualcuno avesse voluto muoversi prima del normale orario d’inizio. Tuttavia, nonostante i prezzi più che abbordabili per l’epoca, si continuava anche a passare il Tagliamento a piedi, alcune volte per non dover perdere tempo cercando il punto designato. 

Una foto non datata, ma probabilmente del periodo a cavallo tra i due secoli scorsi, in cui è ritratta una tipica imbarcazione che faceva la spola tra Bordano e la zona di Gemona e Venzone. Sullo sfondo evidentissima la località di Rivoli Bianchi, con quel caratteristico conoide detritico. (C.M.U.)

Certamente era un azzardo avventurarsi a piedi perché non si sapeva mai che brutti scherzi potesse riservare la corrente, anche se non mancarono incidenti, anche gravi, che coinvolsero le stesse imbarcazioni. Si ricordi per esempio la tragedia immane del 28 maggio 1708, quando una barca di Braulins affondò con 110 persone a bordo, probabilmente stipate all’inverosimile. In 58 perirono, ma nessuno di Bordano, tutti provenienti da paesi dell’attuale Comune di Trasaghis.

Ma vediamo un attimo quali informazioni si riescono a ricavare da questi due toponimi locali! La strada, palesemente un ecotoponimo (vedi definizione che ne dà Enos Costantini), era anche detta da alcuni “di Crissignili” e l’origine non è certa, anche se si pensa che non fosse altro che un soprannome, come tanti ce n’erano e ce ne sono ancora a Bordano. Chi mai fosse Grisigníti nessuno lo ricorda; forse, dico io, il primo barcaiolo di Bordano, o il proprietario del terreno su cui è stata tracciata la strada, o ancora colui che ebbe l’idea di farla passare per lì? Non si sa! Il termine “rosta”, invece, non porta alcun mistero. Le roste, rostis in friulano, altro non erano che dei semplici muretti in pietra, ma potevano servire per molteplici funzioni: stabilizzare una scarpata, segnare i confini degli appezzamenti, rappresentare una barriera contro lo straripamento di corsi d’acqua. Il caso in esame è proprio quest’ultimo e la difesa allestita non lo era certo nei confronti del Rio Rosta, che scorre sopra la galleria e che non rappresenta alcun pericolo, essendo asciutto per la maggior parte dell’anno, bensì per tenere a bada il Tagliamento, che proprio in quel punto produce un’ansa che lambisce pericolosamente, in caso di piena, la Piana di Bordano. Il Leskovic ci dice che, nel caso di un muretto eretto a mo’ di argine di un importante corso d’acqua, le pietre che lo costituivano dovevano essere particolarmente grandi, squadrate e tenute insieme anche grazie alla malta di cemento, mentre nel caso di torrentelli, o comunque di corsi d’acqua di secondaria importanza, il tutto era realizzato a secco e con elementi lapidei di minori dimensioni. Un sinonimo può essere la muserie, ma solo con l’accezione di muretto a secco, in quanto anche questo termine si ricollega a vari altri significati, che meritano di essere esplicitati in un altro articolo.
 
Prima del Tagliamento ormai prossimo, però, dell'altra boscaglia blocca la visuale e nasconde una collinetta creata con l'accumularsi delle macerie, qui scaricate, delle case di Bordano andate distrutte a causa del terremoto del '76. Per raggiungere il sito non fu usata la Strade di Grisigníti ma una nuova, aperta a ridosso della piccola galleria del Rio Rosta e, questa sì, ancora percorribile. (foto di Enrico Rossi)


Tuttavia alcuni potrebbero farsi una domanda non banale: ma, se la meta più gettonata o comunque importante era Gemona, come mai decisero di collocare il punto d’imbarco in Lassù da Roste, località molto più vicina a Venzone che a Gemona per esempio, e non invece più a sud, magari proprio nel punto meno distante dall’abitato? Domanda lecita e interessante ma dalla risposta più semplice di quel che forse si crederebbe. Era tecnicamente impossibile partire più a sud per il semplice motivo che il principale ramo d’acqua del Tagliamento bagna le sponde solamente in due punti nei pressi del paese, in Lassù da Roste appunto e allo sbocco del Rio Dumbli nel Tagliamento, rio dal nome che tra l’altro non trova alcun riscontro orale negli ultimi decenni ma che ricorreva non di rado se pensiamo che era stato scelto come confine tra il nostro Comune e quello di Trasaghis nei periodi di contrasti tra le due comunità. Il confine attuale invece si ferma più a nord, in quanto passa per i Laghetti. Questo secondo sito, situato all’estremità meridionale della Piana di Bordano e ai piedi non del San Simeone ma del Naruvint, era, sì, molto più vicino a Gemona ma ben più lontano da raggiungere partendo da Bordano rispetto a Lassù da Roste. Quindi, imbarcandosi presso la rosta, la maggiore distanza da Gemona veniva largamente compensata dal minor tempo impiegato per raggiungerla; una volta a bordo, poi, la corrente compiva un lavoro più efficace di quello delle gambe. È possibile però che il corso del Tagliamento in passato fosse diverso a tal punto da consentire di usufruire di un attracco più agevole, in termini di distanza, da Bordano? Certamente il Tagliamento, per le sue peculiarità geomorfologiche, nel corso della sua storia ha modificato, anche ampiamente, il suo percorso, però, se andiamo a consultare la mappa del Barozzi (1859), vedremo che la situazione era pressoché identica a quella attuale per quanto riguarda il settore di Bordano, con le due località citate come unici punti utili di attracco. 

La mappa del 1859, in cui si nota come l'andamento del principale ramo d'acqua del Tagliamento fosse molto simile a quello attuale, con Lassù da Roste (cerchiata in azzurro) sempre bagnata dalle acque (da "Monte San Simeone", numero di ottobre 1989),

La rosta è invece molto ben evidenziata nella mappa del Comune Censuario di Bordano con Interneppo (1843), in cui si nota come parta dallo sbocco del Rio Rosta, segua la riva per alcune decine di metri per poi creare una zona protetta dalla corrente. 

Nella cartina del Comune Censuario (1843) è stata riprodotta accuratamente la “Rosta di Bordano”, come si può leggere. Testimonianza preziosa per avere anche un’idea delle dimensioni, della posizione e della forma di quella che è stata una importante opera di protezione contro le esondazioni (A.S.U.).

Nessuno probabilmente compirebbe ai nostri giorni quella traversata, non per necessità perlomeno, e, mentre la vecchia strada continua ad essere inghiottita dal verde, il Ponte di Braulins incassa migliaia di segni di pneumatici al giorno. Sono i tempi che cambiano, che lasciano indietro il vecchio e sviluppano il nuovo; quello che non deve cambiare e che anzi deve essere sostenuto è la memoria!

Enrico Rossi


 Fonti dell’articolo:


  • Libro “ Bordan e Tarnep: nons di lûc”, Enos Costantini, 1987
  • Libro “Bordan e Tarnep: un modello di sviluppo autosostenibile”, Luigi Tomat, 2006
  • Libro “Val dal Lâc”, a cura della Società Filologica Friulana, 1987
  • Periodico “Monte San Simeone”, ottobre 1989
  • Testimonianze orali di Oscar Rossi

venerdì 29 settembre 2017

Accoglienza ai rifugiati in Val del Lago: sì, no, forse

A Cavazzo è da tempo che è stato inserito un nutrito gruppo di profughi (vedi https://cjalcor.blogspot.it/2016/02/anche-cavazzo-ospita-un-gruppo-di_13.html). Trasaghis ha dichiarato di voler aderire allo Sprar (vedi https://cjalcor.blogspot.it/2017/07/migranti-trasaghis-ne-accogliera-fino-8.html), Bordano è ancora combattuto sulla scelta. Situazione fluida, in Val del Lago, relativamente all'accoglienza.

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Sprar, solo Tolmezzo dice sì. Alto Friuli diviso sui profughi
(Messaggero Veneto, 27 settembre 2017)
di Giacomina Pellizzari

Alla fine solo Tolmezzo ha tagliato il traguardo dello Sprar. Il capoluogo carnico ha affidato il servizio di accoglienza dei rifugiati politici alla Caritas e oggi invierà al ministero dell’Interno il progetto per ottenere il finanziamento triennale. Circa 750 mila euro per 16 posti distribuiti in tre appartamenti, due privati e uno del Comune. La maggior parte degli altri comuni della Carnia, del Gemonese e del Canal del Ferro, invece, non hanno ancora deciso se aderire o meno alla rete Sprar. I presidenti delle due Uti, Aldo Daici e Ivan Buzzi, stanno facendo il punto per decidere se gestire in proprio lo Sprar o se lasciare liberi i comuni che, a quel punto, potrebbero chiedere ospitalità a Tolmezzo o al gruppone della Carnia. Quest’ultima operazione, però, non è semplice visto che, come spiega l’assessore tolmezzino Fabiola De Martin, «il numero dei posti a bando può aumentare del 10 per cento».Ma andiamo con ordine e iniziamo a dire che, escluso il primato di Tolmezzo, lo Sprar della Carnia (Villa Santina, Enemonzo, Raveo, Lauco, Preone, Socchieve, Sauris, Forni Avoltri, Rigolato, Prato Carnico, Comeglians, Ravascletto, Sutrio e Arta Terme), con i suoi 86 posti e un valore triennale stimato in circa 2,5 milioni di euro, sarà il più corposo del Friuli. Sono stati proprio questi numeri a far andare oltre soglia europea l’importo a base d’asta costringendo il Comune di Villa Santina, in veste di capofila, a indire una gara europea. (...) Su questi aspetti sta riflettendo il comune di Venzone (Uti del Gemonese): «Può essere interessante purché riducano subito i numeri dei posti», fa sapere il sindaco, Fabio Di Bernardo, riservandosi di valutare la situazione. «Chiediamo - ribadisce - certezze sul calo dei numeri».
E se Artegna e Trasaghis sono pronte a entrare nello Sprar, lo stesso non si può dire per Bordano e Montenars. «Il sindaco di Bordano - spiega il presidente dell’Uti - ha già fatto sapere che la maggioranza non è d’accordo, mentre Montenars si esprimerà a breve». Ma il no è scontato se il Consiglio comunale di Monternars rispetterà l’orientamento emerso l’altra sera nel corso dell’assemblea pubblica. Più o meno analoga la situazione nell’Uti del Canal del Ferro, dove ai via libera espressi dalle assemblee civiche di Resiutta, Pontebba e Malborghetto si contrappone il no di Dogna. «Lo Sprar è più inclusivo - sottolinea il sindaco di Resiutta Francesco Nesich - , mentre ora si vive alla giornata. Il mio Comune con meno di 300 residenti, sta accogliendo 37 profughi».


giovedì 28 settembre 2017

Un nuovo appuntamento per il Blog: "Obiettivo su Bordano & Interneppo"

Dai prossimi giorni, il Blog si arricchirà di una nuova collaborazione, quella di Entrico Rossi, che curerà la rubrica "Obiettivo su Bordano & Interneppo".

Ecco una auto presentazione dell'autore, dei contenuti delle sue proposte, delle motivazioni che lo hanno portato, dopo una significativa attività sul Web, ad "Alesso & Dintorni":

CHI SONO E COSA FACCIO

Sono Enrico Rossi, nato a San Daniele del Friuli il 29 settembre 1995 ma da sempre residente a Udine. Mi sono diplomato nel 2014 al liceo scientifico "Gaspare Bertoni" di Udine e attualmente sono studente universitario di Scienze per l'ambiente e la natura all'Università di Udine.

Essendo profondamente appassionato di storia locale e friulana in generale, ed essendo da parte di madre originario della periferia di Udine mentre da parte di padre di Bordano, sto ormai da anni studiando e raccogliendo informazioni, anche tramite interviste ai miei parenti, sui luoghi delle mie radici. Purtroppo non ho mai potuto nemmeno parlare con mio nonno Ugo Rossi, studioso interneppano della storia della Val del Lago e a cui hanno dedicato la biblioteca comunale di Bordano. Questo lavoro di ricerca, rilanciato anche dal desiderio di contribuire concretamente alla valorizzazione delle nostre terre, mi ha portato ad avventurarmi in diverse iniziative: nel 2015 ho aperto il gruppo Facebook "Sei di Udine se...la vuoi scoprire!", in cui pubblico, quando posso, articoletti di approfondimento sulla storia udinese; l'anno successivo ho avviato il gruppo "Sei di Chiavris se...", con l'intenzione di riunire virtualmente la comunità del quartiere udinese a cui sono più legato; sempre nel 2016 ho dato il via, assieme ad alcuni amici, a un progetto di divulgazione e valorizzazione del Friuli Storico il cui nome è "Forum Julii Project" (dall'estate di questo 2017 siamo diventati ufficialmente associazione e ci siamo ulteriormente ingranditi). 

Per quanto riguarda altre attività svolte per passione del territorio, ritengo sufficiente solo ricordare le seguenti: corso di lingua e cultura friulana della Società Filologica Friulana, seguito e terminato col 100% delle presenze quest'anno 2017; alle Olimpiadi nazionali della Cultura e del Talento il settimo posto alle semifinali e l'undicesimo alle finali assieme alla mia squadra di liceo (l'unica del FVG ad essere arrivata in finale in quell'edizione) nel 2014; il conseguimento della licenza per la pesca sportiva nelle acque interne del FVG, nel 2008, ottenuta non tanto per esercitare lo sport ma per cultura personale sulla fauna ittica. Molto altro mi piacerebbe seguire, come il corso per ottenere il patentino per la raccolta funghi, ma il tempo è tiranno. 

COSA VORREI FARE E PERCHÈ HO DECISO DI COLLABORARE CON "ALESSO E DINTORNI"

I miei maggiori ambiti di interesse, attraverso i quali mi attivo per scrivere e fare ricerca, sono la storia, la geografia e le scienze naturali. In futuro mi piacerebbe lavorare per gli ecomusei del territorio, non solo perché in linea anche con i miei studi universitari ma anche perché in ciò che si cerca con essi di promuovere ritrovo tutti e tre gli ambiti che mi spingono a scrivere e operare. Inoltre scavare nei dettagli, nelle virgole del territorio mi ha sempre dato grosse soddisfazioni, perché non si cade mai nel banale ma nemmeno si rischia di esagerare nei dettagli in quanto nessuna ricerca può ritenersi realmente completa; si potrà sempre spulciare ancora e ancora. Anche se quasi sempre sono costretto a usare libri e siti per i testi, mi piacerebbe avvicinarmi di più all'utilizzo di fonti di prima mano, cioè chiedere direttamente a chi c'era e chi ha visto coi propri occhi. Anche in tal senso il tempo è il nemico, perché, per esempio, dei tre nonni che mi hanno potuto raccontare, me ne rimane solo uno. 

Oltre che per pura e semplice passione, anche per continuare sulla scia delle ricerche di nonno Ugo ho deciso di collaborare con questa realtà straordinariamente ricca e operosa che è "Alesso e dintorni". In particolare mi è stato concesso il permesso di curare una rubrica, che vorrebbe essere mensile (salvo il susseguirsi di troppi impegni inderogabili), dal nome "Obiettivo su Bordano & Interneppo". Quel "Obiettivo" vuole proprio indicare che il mio scopo è quello di focalizzazione, di trovare la nicchia volendo, perché comunque tratterò di argomenti di solito molto specifici. 


A Enrico, il più cordiale benvenuto, con l'auspicio che le sue ricerche possano interessare "tarnebans e bordaneis" e, in generale, tutta la Comunità della valle del Lago. (A&D)

mercoledì 27 settembre 2017

Borgo Poscolle al top fra le "Osterie d'Italia"

Si confermano 11 le “chiocciole” assegnate ad altrettanti ristoranti ed osterie tipiche del Friuli Venezia Giulia dalla nuova edizione della guida “Osterie d’Italia 2018”, il volume di Slow Food che, giunta alla sua 28esima pubblicazione, rappresenta ormai una vera e propria bussola per chi vuole “ridare valore al cibo, nel rispetto di chi produce, in armonia con ambiente ed ecosistemi, grazie ai saperi di cui sono custodi territori e tradizioni locali”.
Oltre 400 gli osti protagonisti del volume che hanno partecipato nei giorni scorsi alla presentazione della guida al Parco delle Sorgenti di Ferrarelle di Riardo (CE). “Nella guida- si legge nell’introduzione a firma Marco Bolasco ed Eugenio Signoroni, curatori di questo Sussidiario del mangiar bene all’italiana- ci sono le osterie che incarnano al meglio l’autenticità della cucina italiana, una cucina semplice, priva di barocchismi ed eccessi di lavorazione che hanno il solo fine di stupire. Una cucina che non cerca di uniformarsi in un unico stile con cotture millimetriche, sottolinea le differenze e non si piega alle mode”.


martedì 26 settembre 2017

Dalla Norvegia a Trasaghis, da Milano alla Namibia

Il sito del Corriere della Sera ha dedicato un articolo alla figura del norvegese Petter Johannesen, vicepresidente di AssoNorvegia e console onorario della Namibia.
 Nell'articolo si evidenzia il ruolo avuto da Johannesen nella gestione della operazione che ha portato, nel 1976, alla assegnazione delle baracche norvegesi ai terremotati del Comune di Trasaghis.


Milano, il console onorario della Namibia racconta la sua passione per la città

Il norvegese Petter Johannesen, pronipote del celebre esploratore Roald Amundsen, è arrivato qui nel 1976 e oggi è, tra l’altro, vicepresidente di AssoNorvegia

Johannesen si presenta con humor. «Norvegese di Moss, laurea e dottorato in economia. Classe ’49, una cariatide come dite voi». La prima volta a Milano è nel ’76, dopo aver vinto il concorso da addetto commerciale dell’ambasciata. Ricorda: «Sono venuto non sapendo niente. Con moglie, una bambina e il trasloco sul tetto della macchina». Arriva, giusto il tempo di insediarsi nell’ufficio («una meraviglia, alzavo gli occhi dalla scrivania e vedevo il Castello Sforzesco»), ed è subito emergenza: il terremoto del Friuli. «Il mio governo stanzia 50 milioni di corone, seguivo l’iter per donare case prefabbricate». Con orgoglio fa sapere che in quattro mesi garantirono un tetto agli abitanti di Trasaghis, Alesso e Peonis. (...)



Per leggere tutto l'articolo: http://milano.corriere.it/notizie/cronaca/17_settembre_25/milano-console-onorario-namibia-racconta-sua-passione-la-citta-41a15516-a13b-11e7-97ce-75ed55d84d04.shtml 



lunedì 25 settembre 2017

Pavees ... dal San Simeone all'Austria

Nella premiazione della  15'edizione del concorso "sulle ali delle farfalle" in Austria, a Schwanenstadt, una delegazione di Bordano è stata invitata quale ospite d'onore alla manifestazione. Si è trattato di un graditissimo invito alla cerimonia che si lega al progetto che ha avuto inizio a Bordano nel 1998 ed è proseguito fino ai primi anni 2000, omologato poi in Austria dal prof. Aichmayer. Presente anche il prof. Livio Sossi, "anima" del concorso di Bordano che ora si chiama "Sulle ali delle farfalle e dei cigni".







domenica 24 settembre 2017

Braulins, tra il Piç e il Puint ... i fuochi!

Si conclude oggi, in un crescendo di proposte, la "festa del ponte" proposta dall'Associazione "Noi di Braulins" con il patrocinio del Comune di Trasaghis e la collaborazione delle associazioni di volontariato del territorio.




Molto apprezzati, ieri sera, i fuochi proposti nel greto del Tagliamento, a lato del Piç.
Pubblichiamo alcune tra le più belle foto apparse sinora in rete, invitando i lettori del Blog ad arricchire la galleria fotografica di questo importante evento.

(foto Efrem Picco)
                                               

(foto Max Monutti)

(foto Jerry Feregotto)

sabato 23 settembre 2017

Alesso, consegnati alle squadre giovanili i fondi raccolti con la lotteria

L'altro mercoledì si era data notizia delle consegna alla scuola Primaria della prima tranche di fondi raccolti con la lotteria "Judìn i nestis fruz" (vedi http://cjalcor.blogspot.it/2017/09/consegnati-alla-scuola-primaria-di.html ).
Ora il percorso è stato completato con la consegna della seconda tranche, con la consegna di mille euro per il settore giovanile BTV (squadre di Bordano, Trasaghis e Val del Lago).
Da più parti è stato sottolineato il valore della iniziativa e i lusinghieri risultati raggiunti.




venerdì 22 settembre 2017

Bordano, una prima numerosa grazie alla "Montessori"

Col metodo Montessori è boom di iscrizioni alla primaria di Bordano


Il metodo Montessori dà una boccata di ossigeno alla scuola primaria di Bordano, che inizia il suo anno scolastico con 14 alunni.

Sono questi i primi risultati ottenuti dall’avvio della sperimentazione collegata al metodo Montessori che è stata avviata per volontà della direzione didattica di Trasaghis in accordo con l’amministrazione comunale e i genitori: ora è la seconda scuola udinese a proporre questo nuovo tipo di insegnamento. «Abbiamo accettato di buon grado questa proposta – spiega il sindaco Ivana Bellina – anche perché la nostra è una scuola ben strutturata, che può vantare anche un servizio mensa interno. Il problema erano i numeri dei nuovi nati, che interessa tutti i paesi, ma in particolare quelli piccoli come il nostro».

A Bordano c’erano classi composte anche da soli 5 alunni. Con la nuova proposta sperimentale dedicata al Montessori, tra quei 14 alunni che compongono la prima classe oggi ce ne sono alcuni che arrivano da Gemona, ma anche da Tarcento e da Nimis. «Il progetto – ricorda il dirigente scolastico Nevio Bonutti – nasce in risposta alla situazione che si era venuta a creare negli ultimi anni quando la scuola è passata da 40 a 25 alunni e le proiezioni prevedevano 2 o 3 nati all’anno in futuro. Ora l’attività è stata avviata in modo sperimentale grazie al supporto dei genitori e degli stessi insegnanti che hanno accettato di seguire la relativa formazione». (p.c.) 

(Messaggero Veneto, 20 settembre 2017)


giovedì 21 settembre 2017

1991, il racconto di "Tin dal Cuc" sulla pesca nel lago

E' già stata data segnalazione sul blog della pubblicazione, sul sito "Non solo Carnia" di Laura Matelda Puppini, di un "quaderno sfogliabile" dedicato al Lago, con importanti notizie sulla evoluzione delle sue condizioni, sul problema dell'idroelettrico, sulle mutate condizioni della pesca (vedi http://cjalcor.blogspot.it/2017/09/alla-scoperta-del-lago-tra-sogno-natura.html ).

Grazie alla disponibilità dell'autrice, pubblichiamo qui per esteso, traendolo dalla pubblicazione sfogliabile, il testo della intervista al pescatore Valentino Billiani di Somplago, "Tin dal Cuc" sulle condizioni di pesca nel lago  prima della costruzione della centrale.


Intervista a Valentino Billiani, il pescatore. 23 maggio 1991.

Il 23 maggio 1991, mi sono recata, con i bimbi della classe della scuola elementare di Verzegnis, di cui ero docente, a visitare il lago di Cavazzo ed ad incontrare un anziano pescatore: il signor Valentino Billiani.

Egli ci ha raccontato che a Somplago ed ad Alesso vivevano, un tempo, alcune famiglie che praticavano la pesca e si tramandavano l’arte e le informazioni principali di padre in figlio.Il signor Valentino ci ha anche parlato del modo in cui venivano costruite le barche che servivano pure come mezzo di trasporto per alcune merci.Molte altre sono state le cose che abbiamo potuto imparare dalle parole dell’anziano, che gentilmente ha accettato di parlare delle sue esperienze di lavoro e delle sue abitudini di vita quando era pescatore, della sua antica attività, svolta anche da suo padre e da suo nonno.

Egli ci ha poi portato a vedere una vasca ove veniva conservato il pescato per uno o due giorni in modo da mantenerlo, in assenza di frigorifero, fresco per la vendita.
Laura Matelda Puppini




"Mi ricordo tante cose…"
Il 1921 fu l’anno del grande secco. Neppure una foglia fu risparmiata. Nel 1928, invece, ghiacciò persino il lago.
Ma al di là di questi fatti eccezionali, la vita scorreva regolarmente scandita dalle stagioni. Si pescava, si poneva il pesce morto nelle vasche di conservazione, a valle di un ruscello di acqua fresca corrente, e poi si andava il più presto possibile a venderlo.
In certi periodi dell’anno la pesca era proibita. Nel mese di giugno, per esempio, non si poteva pescare la trota perché va in amore e la sua carne non è buona. Se la si pescava, la si portava all’albergo dove avevano le vasche. Lì le trote potevano riprodursi e, una volta terminato il periodo degli amori, ci venivano restituite per la vendita.
Noi però non mangiavamo trote…era un pesce per i ricchi!
A quel tempo, nel lago, c’erano trote per tutti ma non tutti potevano cibarsene: era una questione di soldi. Noi dovevamo vendere il pesce, non potevamo permetterci di mangiarlo.
C’ erano, nel lago, diverse qualità di pesce. C’era il “gialit” (avola), c’erano “sardine” (n.d.r. forse pesci di piccole dimensioni) ed anche in abbondanza, c’erano la “codula” (lampreda), la “bisata” (anguilla), la “sgiardula” (scardola), c’erano le “tencia” (tinca) e il “carpin” (carpa). Quel lago aveva un valore inestimabile perché lì vivevano tonnellate di pesce di tutti i tipi.
Ma il lago forniva anche altre risorse.
In primavera, quando iniziava a piovere, sulle sue sponde cresceva alta la “lescia”, un’erba particolare utilizzata per impagliare le sedie. Gli anziani del paese sapevano intrecciarla, principalmente per quell’uso. In certi casi veniva raccolta e poi venduta proprio per “tramâ ciadrếas.” (Per fare il sedile alle sedie).
۞
Quando ero bimbo, (ai primi ‘900 n.d. r.) era miseria e ci si doveva arrangiare come si poteva “par un franc”, per guadagnare una lira. Allora quasi tutti gli uomini emigravano in Germania. A Somplago c’erano 6, forse 7 od 8 famiglie che vivevano con il lago ed ad Alesso forse anche di più.
Mio nonno faceva il pescatore, mio padre faceva il pescatore, io e mio fratello facevamo i pescatori.
Eravamo in otto fratelli, tutti pescatori. Ci facevamo da soli anche le reti ma in genere di pescava con i “nassins”, con le nasse. In queste il pesce entrava e rimaneva intrappolato e si poteva così prenderlo vivo.
Le nasse non sono come i tramagli che si usano ora, dove il pesce si impiglia e muore.

Dovete sapere che i tramagli per la pesca sono degli attrezzi che hanno da una parte e dall’altra le maglie rade, a quadrati di circa 80x80 cm. e nel mezzo hanno una rete a maglie strette. Il pesce resta impigliato con la testa nella parte centrale dopo esser passato nel reticolato precedente a maglie larghe. Ora la pesca con questo attrezzo è proibita e neppure noi, allora, la usavamo, tra l’altro non esisteva.
Noi usavamo di preferenza le nasse che ci permettevano, come ho detto, di prendere il pesce vivo. Lo ponevamo poi in delle casse con il fondo forato chiamate “cassons”, ai bordi del lago, nell’acqua tiepida, per mantenerlo vivo per un po’.

Senza acqua il pesce muore subito, solo l’anguilla resiste a lungo prima di morire. Questi pesci, subito dopo un’abbondante pioggia, possono muoversi anche sull’erba bagnata per lunghi tratti.
Anche nel lago, un tempo, c’erano molte anguille. Dicono che le anguille vengono dal mare. Raccontavano che risalivano il Tagliamento ed altri corsi d’acqua a nuvole serrate, fino a raggiungere i laghi.


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Il nostro lago, allora, era tranquillo, come tanti altri, tranne quando, d’autunno, capitavano le “montane” cioè le piogge torrenziali stagionali. Un tempo pioveva d’autunno per settimane e le acque del lago raggiungevano l’albergo.
Era il periodo “das ploas e scirocai” (delle piogge e del vento di scirocco) e coincideva, in genere, con quello delle vendemmie e della raccolta delle castagne.

Il nostro caffelatte erano le castagne.
Con il latte, diceva mio padre, bisogna far formaggio. Ora è tutto diverso. Neppure le vostre maestre sanno quello che so io. Sono vecchio…ha 83 anni! Ora i castagni si sono seccati tutti. Dicono che è giunto il “cancro” dall’America, una malattia delle piante che li ha distrutti.

Un tempo, qui, c’erano davvero molti castagni, specialmente dalla parte di Interneppo, sulla sponda sinistra del lago, ed erano piante belle, sane, robuste. Noi usavano anche innestarli. Essi davano tipi diversi di castagne: “le pironas”, “le crostonas” ed altri ancora.

Per conservarle il più a lungo possibile riponevamo le castagne con il riccio in cantina tra un po’ di terriccio. In tal modo, grazie anche all’umidità, si conservavano fino a primavera.

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Ma ritorniamo alla pesca. Per pescare ci vogliono le barche che servivano, un tempo, anche per trasportare merci da una sponda all’altra del lago.
In zona c’era più di un artigiano che sapeva costruirle.
Mi ricordo che quando era vivo mio padre c’era una persona che dirigeva il lavoro dei pescatori che le costruivano.
Per i “corbéts” (le ordinate), si usava legno di castagno. Quando ne si trovava uno curvo al punto giusto lo si tagliava. Si lasciavano stagionare le parti per uno o due anni ed infine si utilizzavano.
Le sponde ed il fondo della barca, invece, venivano fatte con larice proveniente dall’alta Carnia in quanto non è una pianta che cresce in zona.
Ciascuna sponda era composta da un unico asse ed i pezzi della barca venivano congiunti con dei chiodi fatti fare appositamente dal fabbro.
Erano di 7 od 8 lunghezze, erano molto lunghi, ed avevano la “testa” grande come una “palanca”.

Il fondo della barca è molto delicato e deve sempre mantenersi liscio. Per non rovinarlo o consumarlo veniva ricoperto, all’interno, con tre tavole di abete.

Il fondo della barca è la parte più importante. Esso doveva, all’esterno, essere perfettamente levigato perché quando si andava tra le canne o tra “ches paveras” (probabilmente flora affiorante o di palude n.d.r.), la barca non doveva incagliarsi trascinarsi dietro alcunché: in sintesi doveva “andar via liscia” per intenderci.

Se entrava acqua nella barca si usava, per gettarla fuori, la “scessula”, una specie di piccola pala costituita da una parte centrale circondata da un bordo.
Sembrava un po’ “la lum”, la lampada veneziana. Questa aveva la forma di una piccola barchetta con lo stoppino e veniva riempita di olio. Ed al chiarore de “la lum”, quando la luce naturale non era sufficiente, si lavorava, si lavorava….
Si lavorava sempre. Per vivere si faceva sempre tanta fatica, davvero tanta. La barca veniva dotata di un solo remo, lungo circa due metri, formato da una parte finale a forma di pala e dal manico.

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Per pescare noi usavamo in genere le nasse ma talvolta anche gli ami. Si pescava anche con “la corda”. Questa poteva essere lunga anche 30 metri. A ogni braccio veniva posto un amo, fissato ad essa con un pezzo di spago.

Per creare una corda da pesca si procedeva così: si fermava il capo iniziale della corda alla “culata” della barca e quindi si fissava il primo amo. A distanza regolare, poi, si ponevano gli altri ami fino a completamento della corda. In questo modo si sistemavano, sulla corda, dai 25 ai 30 ami. Io facevo venire questi ultimi dalla Svezia perché quelli che si trovavano in zona non erano di buona qualità e si piegavano.
Facevo l’ordinazione per posta e loro me li spedivano. Erano ami affilatissimi ed io li affilavo ancor di più con una apposita “cōt” in modo che, appena venivano toccati dal pesce, si infilavano nella sua gola. Questo era il segreto! Per sistemare la corda nel lago si procedeva così: ad uno dei capi della corda, arrotolata sulla “culata” della barca, veniva legato un sasso e quindi la parte iniziale della corda era pronta per esser gettata in acqua. Poi, man mano che la barca si muoveva, dopo aver affondato il capo legato al sasso, la corda si srotolava e scendeva nel lago. Al capo finale della corda veniva posto un altro sasso che permetteva il completo affondamento dell’attrezzo.





Le immagini a colori sono state scattate da Laura Matelda Puppini, il 23 maggio 1991, e ritraggono il pescatore Billiani ed il Lago di Cavazzo. Intervista a Valentino Billiani, 23 maggio 1991, e sua trascrizione di Laura Matelda Puppini.. Prima pubblicazione su www.nonsolocarnia.info all’interno dello sfogliabile “Il lago di Cavazzo tra sogno, natura e sfruttamento”, 26 agosto 2017, a cui si rimanda.
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NOTA del Blog: oltre a questa intervista, chi vuole approfondire il tema, può leggere la trascrizione di altre interviste a Valentino Billiani in: 
AA.VV., La Carnia di Antonelli, C.E.F., 1980
F. BARAZZUTTI, Gente di Lago,  Notiziario ETP, n. 1, febbraio 1991
P. STEFANUTTI, Int di lâc. Strategie di pesca e vita quotidiana attorno al Lago di Cavazzo, "Ce fastu?", LXIX, n. 2,  dicembre 1993, pp. 241-267