"Alesso e dintorni", dal puint di Braulins al puint di Avons

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lunedì 15 gennaio 2018

Le memorie della Grande Guerra nella bandiera dei coscritti del 1998

Sul fronte della bandiera dei coscritti di quest'anno, viene ricordato il centenario della fine della Grande Guerra, con l'augurio che si possa un giorno festeggiare anche ricorrenze di Grande Pace.
Nell'osservare una vecchia foto ingiallita, il presente sbiadisce e quel passato si anima, prende colori e movimento, fino a creare una sorta di immedesimazione nelle persone illustrate.
Nel creare e pitturare la scena, abbiamo costruito delle storie che descrivono le vicende di queste persone; storie che probabilmente sono state viste e vissute dai nostri nonni e bisnonni, che ci hanno raccontato delle gioie dei ritorni e delle speranze o disperazioni nelle attese... I personaggi e le storie sono inventati, ma in realtà sono sicuramente tutti esistiti e chissà quante altre storie si potrebbero narrare e illustrare.
Abbiamo pensato che fosse interessante accompagnare l'esposizione della bandiera con questo breve racconto, presente anche sotto l'arco dove la bandiera è esposta.

I coscritti del 1998 e gli autori Manuel, Saira, Susan

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Una foto ritrovata nel cassetto del comò della nonna, una scena di paese, le montagne, le vecchie case di pietra. 

1918, Alesso. 

Sono gli attimi del ritorno a casa degli alpini della prima guerra mondiale. Un frammento della grande storia capitato tra le mie mani... 
Sono passati cent’anni, avevano la mia età...
Vedo una giovane donna accovacciata che sembra piangere. 

Ma ecco che qualcosa si muove, perde il colore antico delle vecchie foto, si colora... vive... 

A nal pos jessi lui” pensava Elena mentre quella penna nera, in un cappello troppo grande si avvicinava a lei. Lo ricordava uomo, ritornava un bambino. Fiorenzo, con le ultime forze che aveva, si mise a correre, la raggiunse e non le lasciò il tempo di fargli tutte le domande che durante la sua lontananza l’avevano tormentata; domande che cominciarono il giorno in cui lui era partito e che, dopo così tanto tempo, lei non si aspettava più potessero trovare risposta. Risposta non ci fu, almeno per quel momento. Lui la abbracciò e baciò sulla guancia come una dolce sberla, un colpo per il suo cuore, così forte che lei stessa non riuscì ad rispondere a quell’abbraccio; le sue mani rimasero aperte, pronte a stringerlo, ma non capaci di farlo. La dolcezza impetuosa di Fiorenzo nascose, per un attimo, la crudeltà e la bestialità che aveva fin ora visto. 
Il suo ritorno era anche il ritorno del cappello che portava in testa, quel cappello che, così grande, apparteneva al suo amico che non mai potrà ritornare. Fiorenzo scelse di portarlo indosso, lasciando il suo ben riposto nel suo zaino, per ricreare anche “quel” ritorno, riportare a casa anche lui. 

Era strano il cielo quel giorno, non sapeva più di inverno, giravano curiose numerose rondini scese dai boschetti delle sue care montagne. Fu la prima cosa che Niccolò notò, mentre il suo cuore batteva forte alla vista del profilo che va da Palas a Plombada. Quel profilo se l’era sognato mille volte e l’aveva ricostruito con la mente mentre calpestava sentieri di montagne non sue. “Cuissà la me famea lassù dal stali... cuissà s'a son sotét, s'a son tal ricès, s'a son tal sigûr... Ma c’era un altro profilo che Niccolò cercava ovunque: vedeva Lisa sulle vene dei rami rotti dal vento, tra le nuvole in cielo, nei disegni che l’acqua traccia passando tra i sassi, una sera lo immaginò anche nei solchi lasciati dal cucchiaio nel fondo della sua gavetta. Quel profilo adesso era lì. Niccolò si alzò il cappello in un gesto a metà tra il “cjala ch’al è ver ch’j sei tornat! J sei io!” e il “j na pos taponâ nancja un tocút di ce ch’j ai podut tornâ a jodi!”. Aveva tra le mani le lettere che non era riuscito a spedirle, le tirò fuori prima ancora di abbracciarla, quasi a voler confermare il suo impegno nel ricordarla nonostante il dolore, la fatica, il fango. Lisa, nel suo vestito azzurro lo strinse a se dolcemente, animando quella che, vista dall’alto, sembrava una danza. 

Margherita aveva tre figli, li aveva lasciati ad aspettarla tra gli archi della vecchia casa. Lei non si allontanò molto, andò in strada, non chiamò nessuno, non pianse. Anche Valentino le si avvicinò in silenzio. Non le disse che in guerra aveva avuto paura di morire, non le disse che pensava di non rivedere più la sua famiglia. Non riusciva a sostenere il suo sguardo. Stettero vicini. 

Caterina rimase, speranzosa, ad aspettare... 

Domenica, la giovane donna accovacciata, immobile, pianse per sempre imprigionata in quello scatto, nel colore antico delle vecchie foto. Giovanni non era tornato.


1 commento:

  1. Angela Turisini commenta su facebook: "Come è bella la pace raccontata in quella immagine lieve, che gioia senza confini quei ritorni, tutto sembra danzare insieme alle rondini con le loro evoluzioni, i colori gentili, le vesti leggere anche le parole vogliono diventare leggere e salire al cielo...il dolore è in un angolo raccolto,dignitoso, friulano per quell'uomo che non è tornato da una guerra senza senso...nessuna guerra ce l'ha un senso ne' giustificazione. Bravi tutti perché se solo un ragazzo avrà compreso il senso di questa bandiera sarà un adulto migliore."

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